Dopo aver ascoltato da circa due anni le esperienze e le ricerche sul campo di diversi lavoratori ed esperti, era la prima volta che mi recavo personalmente in una delle decine di imprese recuperate sorte in Italia dopo la crisi economico-finanziaria di dieci anni fa. Il viaggio che da Firenze conduce a Castelfiorentino e che fa tappa intermedia a Empoli concede al passeggero appena il tempo sufficiente a leggere una parte della storia di questi lavoratori sul sito della cooperativa Bolfra. Inizio a pregustare l’incontro con quei lavoratori in tute blu che si trovano al centro della foto caricata sul sito, presagendo che, una volta tanto, il piacere non sarebbe stato inferiore all’attesa che lo precede.
Il percorso che dalla stazione di Castelfiorentino conduce alla sede della falegnameria delude le aspettative estetiche di chi è abituato ai paesaggi sinuosi e seducenti della campagna toscana. Assieme a Empoli la città in cui sono approdato era uno dei principali poli industriali della Toscana, come dimostra l’assenza di marciapiedi a lato della strada che porta alla Bolfra: non è progettata per stuzzicare gli sfizi consumistici delle famiglie del paese a passeggio nel weekend, ma per agevolare il passaggio di auto e camion dotati di una certa capienza.
Quando arrivo sul posto sono costretto a costeggiare il perimetro di un supermercato, prima di giungere al cancello della falegnameria che si trova sul retro. Ad accogliermi c’è Marco, direttore commerciale della cooperativa. È lui a raccontarmi il prima e il dopo del recupero dell’azienda familiare Bolfra, fallita dopo trent’anni di attività. Prima della crisi la falegnameria era composta da più di 50 dipendenti e produceva da 50 a 250 persiane al giorno. Il crollo del mercato edilizio, però, ridusse drasticamente la domanda di persiane su cui la falegnameria si era specializzata assieme alla produzione di cornici in legno. Rispetto a queste ultime, la produzione delle persiane aveva garantito un margine più ampio di utile e consentito all’azienda di estendersi al di là del casolare di campagna in cui era nata, dapprima in un capannone di medie dimensioni e, poi, nello stabilimento attuale, che copre un’area di quasi 3000 metri quadrati. Una volta crollata la domanda, però, la proprietà avviò le procedure fallimentari.